C'era una volta


Moruzzo 14 Giungo 2008

Finale “Pianobar Festival”

C’era una volta

In un primo momento avevo intenzione di proporre “Moruzzo anno domine”, roba che suona anche come: “Non aprire quest’armadio – cadavere in attesa di sepoltura”. Nulla di nuovo, appunto, la storia è fatta anche così, in ogni amministrazione dominante, archiviato o meno dalla storia, di questi armadi ce ne sono sempre un bel po’.
Anche a Moruzzo dunque, una sera di tanti anni fa, qualcuno di quelli che contano, come si dice, hanno deciso che: dato che erano in molti ad amarlo, stimarlo, ed ossequiarlo, e via così, e che avrebbero anche dato la loro vita per lui, hanno deciso come dicevo, di farlo fuori onde evitare una strage...
Ombre scure di una notte buia, una patacca d’unto sull’abito nuovo si potrebbe aggiungere, ma continuando a scavare e a spigolare fra le postille, il castello di Moruzzo rimane sempre un castello fedele all’autonomia della “Patria”, aggiungendo poi anche che è stato uno degli ultimi baluardi friulani a cadere alla dominazione veneta, non senza truffe, omicidi, sotterfugi e saccheggi, ed infine, è fra i tanti fuochi di quel “Giovedì grasso” che ha visto cadere quella dominazione veneta così opprimente e schiavista.

Moruzzo è la terra natale di Pietro Savorgnan di Brazzà, un uomo che il mondo lo ricorda come l’ “Esploratore Leggendario”, per la sua temperanza, per la sua equità, per la sua solidarietà verso le popolazioni africane del Congo, terra che ha esplorato in lungo e in largo.
Costruendo villaggi che gli ricordassero la sua terra, il Friuli, come per esempio Brazzàville, ha diffuso soprattutto un’idea di progresso, di uguaglianza e di armonia fra i popoli, o le genti, che pur provenendo da razze e culture diverse, avrebbero potuto commercializzare, divulgare e rinnovarsi nel reciproco interesse.
Le “Compagnie” colonizzatrici dell’avorio e della gomma però non la pensavano allo stesso modo, anzi, il Congo fu una piaga tutta europea di sfruttamento, persecuzione e morte…

Così ho richiuso il cadavere nel suo armadio e ho deciso di dedicare a questa manifestazione, una fiaba: “C’era una volta”




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C’era una volta

Nekoc je bila in mieç dal bosc
E iere la tane, la tane de volp
Nekoc je bil in mezzo al bosco
C’era la tana, la tana dell’orso

Quando la luna le stelle accendeva
O quando la notte il suo velo posava
La volpe furtiva fra gli sterpi aspettava
Fiutando la preda che il silenzio portava
Mentre nel giorno rosolante di sole
O mentre l’orso raspava le ore
La luce scandiva quel suo poltrire
Fra lamponi e mirtilli il dolce dormire
Il tempo e le stagioni mutavano colore
Ma quel fare nel bosco non cambiava sapore
Finché un sera piantata per terra
Fumava la canna d’un fucile da guerra

Nekoc je bila in mieç dal bosc
E iere la tane, la tane de volp
Nekoc je bil in mezzo al bosco
C’era la tana, la tana dell’orso

L’orso alla volpe: amica mia cara
L’uomo è tornato a stanarci da casa
E sono già in molti che col loro terrore
Ci vogliono imporre un mondo migliore
Ciutu my friend rispose la volpe
L’uomo anche vorrebbe viver di pace
Ma la storia ricorda e spesso ci narra
Che quel viver di pace è nel farsi la guerra
Così nell’oblio d’un tetro tramonto
L’inferno bruciava sotto un cielo di piombo
L’orso e la volpe in meno di niente
Persero il bosco la tana ed il presente

Nekoc je bila in mieç dal bosc
E iere la tane, la tane de volp
Nekoc je bil in mezzo al bosco
C’era la tana, la tana dell’orso

Presto scappiamo fa l’orso alla volpe
Ho trovato una porta per salvare la ghirbe
Dentro una fiaba dove mille e una sera
Siam noi gli amanti di questa frontiera
Piska di un orso non dire scemenze
Dentro alle fiabe non c’entri di carne
O siamo già polvere di quel mondo che c’era?
Frattaglie di un gioco senza bandiera?
Ecco perché anche dentro le fiabe
L’orso e la volpe si continuano a cercare
Inseguono il ricordo di quel bosco lontano
Per chissà forse un giorno tenersi per mano

Nekoc je bila in mieç dal bosc
E iere la tane, la tane de volp
Nekoc je bil in mezzo al bosco
C’era la tana, la tana dell’orso









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