Burlaç e Noè



Burlaç e Noè

Eravamo vecchi amici, quando il tempo era bambino
Eravamo anche felici, tirando sera e poi mattino
Lui giù in terra con il gregge, Noè di nome era un pastore
Io col cielo a pecorelle, bagnavo il mondo di fiore in fiore
Poi un giorno di gran calura, con un’afa tropicale
Tanto vino nei boccali, dall’aroma assai speciale
A far contro quell’arsura, che scioglieva anche il sale
Che mi ritrovo reo confesso, a tutta pagina sul giornale

Son bel bello in copertina con una faccia da faina
Occhi gonfi di tempesta e due corna sulla testa
Fra i capelli lampi e tuoni e per naso due tifoni
Circondato dai tornado incatenati nella mano
Che lo sguardo dell’agente, mentre passo la frontiera
Me lo sventola sdegnamente quasi fosse una bandiera
Allor leggo come un dardo, che c’è scritto anche “bastardo”
Che sul povero Noè, avrei diviso il mondo in tre

Ora è giunto però il momento di dover rettificare
Ché tant’acqua avrei versato nel Diluvio Universale
Che son sol io alla berlina di quel disastro colossale
Per purgare il suo capriccio di partir uomo di mare?
Quel pensare alla frescura, in quel giorno tropicale
Esplose in un sussulto, di un’idea altresì assai geniale
Che al Buon Dio fu offerta, come gita in riva al mare
Una barchetta anche di giunco, per potersi rinfrescare

Più ci penso e più mi incazzo, perché è stata una follia
E il Buon Dio che lo ascoltava e con lui si perdeva via
Ma sognando l’avventura a cavallo di un gommone
Han mutato la misura in un più comodo Arcone
Tanto poi cosa cambia sia di giunco o sia di quercia
L’importante che la misura, ci stia tutta nella testa
E di certo più è vuota più c’è posto per la torta
Che anche l’ultimo neurone ha dovuto prender la porta

Smessi gli abiti da pastore, s’è promosso armatore
Trasformando il suo ovile, in un cantiere in grande stile
Trascurando quel particolare che li vuole in riva al mare
Ma lui uomo di postura ha optato per l’altura
Così il molo per l’attracco, pur essendo sotto ai piedi
Era in cima anzi ad un passo dalle nuvole dei cieli
E il Buon Dio se pur perplesso di quella scelta originale
Ha lasciato al suo ingegno come scendere poi al mare

Quando è giunto poi il momento, di salpar per la crociera
Non capivo per quale evento non bastasse un po’ di cera
Saranno state le lusinghe di chi non sa cosa pescare
Che l’acqua scende o meglio sale per finire solo in mare
Quaranta giorni ho flagellato, quaranta notti devastato
Con uragani e con monsoni, con fortunali e acquazzoni
Per portargli quell’acquetta che serviva alla sua archetta
Mentre fiero come un nocchiero mi grida che aveva fretta

Or non so chi ho implorato, per impormi tanta veemenza
Ma scoppia in botti di tormento, il rimorso della mia coscienza
E tuonando come un ossesso, sto cercando di sfogare
Ogni pena per quel disastro che ho dovuto improvvisare
Io mi pento e spio la colpa ma a lui lascio tutto il peccato
Che per Dio ogni estate torna, puntuale come in passato
E se un giorno vorrà partire, per là dove non è mai stato
Io mi tengo in allenamento, saldo e fiero come un soldato










Carabule country: I senza storia