Sui rami di un pero


Quando ho sentito questa storia, accaduta proprio in paesino a ridosso del confine orientale, a stento davo credito alle parole del cronista, non tanto per la veridicità di questo agghiacciante delitto quanto per il posto dove è stato commesso: in un tranquillo paesino di montagna.
Disegnarlo proprio lì, dentro i nostri sogni d’evasione, stordisce ancor di più.
Ambientarlo in un tranquillo paesino di montagna dove tutto prosegue senza mutamenti significativi, dove non succede proprio nulla, dove la mente disegna il silenzio di una riposante serenità, dove si va in ferie a staccare la spina dalla frenesia cittadina, diventa surreale immaginare un risveglio così crudo e carico di violenza.
Siamo talmente circondati dalla cronaca nera dei sobborghi metropolitani o dalla criminalità latente dell’interland disagiato, dove i morti sono le vittime della faide o del degrado sociale che appare illogico che questa stessa violenza si covi nell’armonia pittorica di un quadro impressionista.

Quel che mi ricordo di quella vicenda è che un giorno, all’alba, viene trovato il corpo di una donna uccisa a bastonate e appesa come se crocifissa sui rami di un pero, non avendo chiodi per fissarla come Gesù Cristo, hanno usato del filo spinato, tolto della recinzione del confine, l’hanno legata talmente stretta che hanno dovuto usare le cesoie per staccarla da quella cruenta presa.

- Chissà chi era? –
- Una donna del paese -
- Che rientrava a tarda sera! -
- Probabile -
- Magari a tarda notte! -
- Non ci sono divieti per questo –
- Non ci sono però! –
- Perché? -
- Forse… se… -

Quel “Forse… se…” anche se fa a botte con la libertà della mia coscienza, mi scagiona, mi assicura, mi protegge, mi immunizza, ma sopratutto mi valorizza.
Ma sono proprio così certo della mia estraneità?




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Sui rami di un pero

L’ha trovata senz’anima il giorno
Che l’alba ancora non era mattina
A metà tra la macchia e il fossato
Dove la ruggine ne colora le spine
L’ha trovata crocefissa su un pero
Legata stretta col filo spinato
Rubato agli sterpi di quel fossato
Dove la strada accarezza il confine

L’agonia di quel rantolo appeso
Sgorga dai chiodi come linfa di pece
Odio e amore nel sangue rappreso
Porpora scura tumefatta di siero
Scarnificato il corpo sull’osso
Spezzato al collo da un nodo di legno
Capelli al vento nel profumo del bosco
Bava alla bocca che cola sul seno

Per le comari era una donna di strada
Per i poeti una rosa alle stelle
Per il pero una tenera amante
Come il vento che non può trattenere
Questo dire non succede mai niente
Sgomento scuote angoscia e livore
Ma lascia al brandello di carne che vesta
Che tinga l’alba di un nuovo colore

E prima ancor che la cesoia divida
Il laccio che stringe questo presente
Si cercano in fondo al passato le grida
Di una colpa che scagioni il movente
Al tramonto dentro un sacco si chiuse
Ogni fardello di questo dolore
Mentre il tarlo che rode la mente
Aggiunge al pero il suo ultimo odore

Ora ne resta un lontano ricordo
Un’eco confusa un frammento distorto
Mentre il pero che fiorisce sul prato
Porta i segni di quel fiore mai colto
E là dove lo sguardo si perde
Trova il vuoto fra i rovi e le spine
Manca quel un pezzo di filo spinato
Dove il fossato ne traccia il confine










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